Il nucleare europeo? Un macigno da 253 miliardi di euro

Il nucleare europeo presenta il conto. Quello vero. Caro, carissimo. Oltre le previsioni. E, soprattutto, ben oltre la comunque cospicua mole di risorse che i singoli paesi dell’Unione hanno preventivato per risolvere il problema della sicurezza delle scorie e del loro corretto smaltimento. Ce lo dice direttamente la Commissione Ue in un rapporto fresco di stampa. La conclusione: nella migliore delle ipotesi (ma in corso d’opera la stima potrebbe diventare più cospicua) per l’operazione bisogna spendere 253 miliardi di euro. Che vanno mobilitati alla svelta visto che le scadenze si stanno velocemente avvicinando. Perché gran parte delle centrali europee sono irrimediabilmente vecchie, e quindi sempre più insicure. Trent’anni di vita media sono considerati “fisiologici”. Ci siamo. E poco serviranno i piani, comunque costosi e controversi, per estendere la vita di alcuni di questi impianti di 10 o 20 anni, con il duplice obiettivo di massimizzare la redditività e rinviare nel tempo il problema.
Le nude cifre messe in campo dalla Commissione Ue parlano chiaro: solo per lo smaltimento delle vecchie centrali bisogna spendere attorno ai 123 miliardi di euro a cui si sommano gli oneri per la gestione dei rifiuti radioattivi, del combustibile esaurito e della realizzazione dei siti di stoccaggio sotterranei, per un totale aggiuntivo di 130 miliardi. I singoli paesi, a cui spetta singolarmente risolvere quota parte il problema cercando delle soluzioni proprie o consortili, devono mobilitarsi molto in fretta. Non bastano i piani di stanziamento pregressi, gli aggiornamenti successivi e le regole che solo in parte vincolano l’accantonamento delle somme relative. Sono state accantonate poco più della metà di queste risorse è solo l’Inghilterra si è attrezzata per coprire per tempo tutti i costi necessari.
L’Italia? Come di consueto è il fanalino di coda. Dovremo essere teoricamente avvantaggiati dal fatto che abbiamo chiuso le nostre centrali alla fine degli anni dopo il referendum post-Chernobyl, ma abbiamo ancora sul groppone gran parte delle rovine delle vecchie centrali e delle relative scorie. A cui si aggiungono quelle che continuiamo comunque a produrre con l’attività medica e industriale. Diamo il cattivo esempio, rinviamo il problema, promettiamo soluzioni che non riusciamo a trovare. Emblematica l’inefficienza storica nella gestione minima dello smantellamento delle nostre vecchie centrali con relativa gestione dei rifiuti, affidata ad un organismo a controllo pubblico, la Sogin, che deve vedersela uomini volenterosi ma con un groviglio di complicazioni gestionali e infrastrutturali oltre ad un difficilissimo rapporto con il territorio. Sta di fatto che la ricerca di una soluzione per un deposito definitivo delle nostre scorie segna uno degli episodi più imbarazzanti della storia amministrativa e politica di questo paese: il nuovo piano strategico per individuare le zone adatte al deposito geologico c’è, è pronto, ma è stato nei fatti secretato nonostante l’obbligo di renderlo pubblico perché i politici non hanno il coraggio di affrontare quella che si preannuncia l’ennesima furibonda battaglia con le amministrazioni locali e con le popolazioni oltre che con l’opposizione governativa, pronta a farne ulteriore strumento di lotta.
Per farvi un’idea più precisa dell’oggetto del contendere, della presenza nucleare in Europa e dei lavori in corso nei singoli paesi per risolvere i problemi della gestione dei detriti atomici trovate qui in allegato le principali figure contenuti nel rapporto della Commissione Ue e la sua versione integrale.

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