Energie verdi, di paura

Ma chi glielo fa fare all’Enel di lanciare un così vibrato allarme sull’insostenibilità sociale dei generosi incentivi italiani per le energie rinnovabili? Interrogativo doveroso, se guardiamo ai bilanci del nostro ex monopolista elettrico, che nello scenario della liberalizzazione e della concorrenza trae proprio dalla sua divisione per le energie rinnovabili, Enel Green Power, i margini di profitto che crescono di più. Onore al merito. E al presidente Paolo Andrea Colombo, che in un’intervista pubblicata il 3 dicembre sul Sole 24 Ore invita il Governo Monti a considerare decisamente insufficiente il ridimensionamento dei sussidi verdi pur praticato negli ultimi mesi. Qui di seguito la versione estesa dell’intervita a Colombo, oltre al resoconto pubblicato dal Sole 24 Ore sui conti dei primi nove mesi 2011 dell’Enel e un articolo del 19 novembre sui primi tentativi del Governo Monti di confezionare quel nuovo Piano Energetico Nazionale tanto auspicato, e sollecitato, dal Presidente dell’Enel.

Da Il Sole 24 Ore del 3 dicembre 2011

Federico Rendina

ROMA

Una riconsiderazione degli incentivi alle energie rinnovabili che ne attenui il peso per la collettività, «perché 140 miliardi di euro cumulati per i prossimi vent’anni per il solo fotovoltaico rappresentano un costo davvero elevato per le già onerose bollette degli italiani». E un via libera, nel frattempo, al potenziamento delle nostre infrastrutture energetiche: la rete elettrica nazionale da rendere intelligente per gestire al meglio le energie rinnovabili nel sistema elettrico, ricorrendo alla soluzione, molto onerosa, dei sistemi di accumulo a batteria solo se giustificabile sul piano economico per il Paese. E poi le infrastrutture di collegamento con l’estero, non solo i gasdotti ma anche i nuovi rigassificatori. Con un occhio di riguardo al grande bacino mediterraneo che ci proietta verso l’Africa, polmone ideale per gli scambi non solo delle materie prime ma anche dell’elettricità, facendo dell’Italia un hub energetico strategico nel sistema euro-mediterraneo.

Ecco cosa si aspetta Paolo Andrea Colombo, presidente dell’Enel, dal nuovo piano energetico nazionale. «Un piano, atteso da tempo, che il nuovo governo Monti dovrà definire nei tempi più brevi».

Come se la cava in tutto ciò l’ex monopolista Enel?

Direi bene. In Italia possiamo contare su una tenuta sostanziale in un contesto di liberalizzazione molto competitivo, mentre all’estero i risultati sono positivi, con una crescita in Russia e Sud America. Certo, viviamo anche noi in un contesto economico mondiale problematico, ma proprio la nostra crescita all’estero ci consente di guardare al futuro con più ottimismo.

L’indebitamento torna però a crescere. I primi nove mesi dell’anno vi hanno portato di nuovo oltre la quota di 47 miliardi. Qualche analista lancia l’allarme.

Nella lettura dei dati infrannuali occorre tenere conto dell’effetto della stagionalità, in particolare per quanto attiene la dinamica del circolante, effetto che normalmente è riassorbito nell’ultimo trimestre.

Pensate comunque di incrementare i vostri strumenti di approvvigionamento finanziario?

Stiamo elaborando proprio in questo periodo il piano strategico per i prossimi anni, che come sempre terrà conto dei mutamenti del contesto esterno e del loro impatto prevedibile sulle dinamiche finanziarie del gruppo.

A proposito di contesto. Non c’è solo una crisi globale ma c’è anche quella, evidente, della programmazione della politica energetica. Quanto pesano queste inadempienze?

Molto. Una media impresa in Italia arriva a pagare, al netto delle tasse, più del doppio di una francese, dove c’è ancora un unico operatore dominante, ma ben il 75% dell’elettricità viene dal nucleare. L’Italia soffre di un notevole sbilanciamento sul gas naturale, la fonte più costosa, con una ridotta incidenza del carbone, gode di un contributo tra i maggiori d’Europa dalle fonti rinnovabili e una totale assenza del nucleare. Inoltre, il gas è importato in Italia prevalentemente sulla base dei contratti a lungo termine, take or pay, indicizzati al prezzo del greggio. Per questo motivo il prezzo dell’elettricità nel nostro Paese risulta maggiormente esposto alla volatilità del prezzo delle commodities.

Da dove cominciare, o meglio ricominciare?

E’ improcrastinabile la definizione di un piano energetico nazionale di lungo periodo, che garantisca sicurezza negli approvvigionamenti, costi di produzione allineati alla media europea, sostenibilità ambientale. Un importante contributo può venire dall’efficienza energetica e, in particolare, dal settore dei trasporti, anche attraverso la promozione dell’auto elettrica, soprattutto nelle aree urbane.

E’ tramontato, tra l’altro, quel piano per il ritorno italiano all’energia nucleare a cui mostravate di credere molto. Come vi state attrezzando? E, per fare un esempio molto specifico, che futuro ha la vostra megacentrale di Montalto di Castro per la quale consideravate riconversione nucleare un’alternativa alla chiusura?

Nel pieno rispetto dell’esito del referendum, non si può non mantenere aperta un’opzione nucleare attraverso la ricerca. Quanto a Montalto di Castro, il mercato ha reso l’utilizzo di questa centrale più marginale del passato, ma nei momenti di crisi risulta indispensabile, come altri impianti sul territorio.

Uno degli astri emergenti della geopolitica industriale, Parag Khanna, è stato nei giorni scorsi vostro ospite. Khanna invita l’Italia a fare pace con le sue indecisioni nucleari ma anche con la sua super-dipendenza con il gas. Ci invita a superare le ipocrisie, ad ammettere che siamo comunque un paese nuclearista perché ricorriamo all’energia nucleare francese, e quindi a strutturare questi scambi in maniera più sistematica. Quanto a dipendenza dal gas ci invita a trasformarla in un punto di forza diventando un hub metanifero continentale. Che ne dice?

Condivido l’idea che il Paese in prospettiva possa diventare un hub non solo metanifero, ma anche elettrico. Non a caso continuiamo il nostro impegno nelle rinnovabili in nord Africa, con il progetto Desertech.

L’Italia sta nel frattempo cavalcando le energie rinnovabili, con qualche evidente criticità. La nostra rete sta sopportando con fatica l’impatto di un’energia così poco pianificabile e intermittente. E voi state addirittura polemizzando con Terna, il gestore indipendente della rete di trasmissione nazionale, sui diritti e sui doveri di realizzare i sistemi di accumulo. Possibile che si debba perdere tempo con i litigi invece di risolvere i problemi?

Anche quello degli accumuli è un tema che deve rientrare nell’ambito di una pianificazione di lungo termine. Nello specifico i sistemi di accumulo fanno parte delle reti intelligenti . Si tratta però di una tecnologia ancora poco matura e costosa, il cui utilizzo in ogni caso deve rispondere ai principi di economicità ed efficienza del sistema nel suo complesso.

Nelle rinnovabili stiamo correndo troppo, dice qualcuno.

Sicuramente abbiamo corso in maniera scomposta. Il nostro paese aveva accumulato un significativo ritardo e per colmarlo è stato varato un programma di incentivazione particolarmente generoso, che ha consentito di andare addirittura al di là dei programmi. Il target al 2020, per il fotovoltaico, era di 8mila megawatt di capacità installata, quest’anno abbiamo già raggiunto i 12mila MW. Andando avanti così nel 2016 il nostro fotovoltaico raggiungerà una capacità di 23mila MW che diventeranno 30mila nel 2020, quasi quattro volte il target originario. Un boom che ha come conseguenza un’impennata dei costi, che al 2020 potrebbero superare i 100 miliardi di euro e che andranno ad aggravare la bolletta energetica degli italiani. Questo senza poter cogliere i benefici della riduzione dei costi di produzione favorito dall’evoluzione della tecnologia, e senza nemmeno aver favorito la nascita di una filiera industriale nel nostro paese. Non ci dimentichiamo che oggi la nostra domanda di pannelli è soddisfatta per il 50% da pannelli importati direttamente dalla Cina e da un altro 30% da imprese straniere con filiali in Italia. E che l’unica fabbrica italiana di grandi dimensioni è la nostra a Catania, con Stm e Sharp.

Cosa fare?

Dobbiamo continuare a investire sulle rinnovabili, che rappresentano certamente il nostro futuro. Ma anche in questo caso la programmazione degli investimenti deve rispondere al principio dell’economicità per il sistema. Questo significa che il Governo deve stabilire i target di generazione quantitativi e temporali, e definire le modalità per il raggiungimento di tali obiettivi al minimo costo per la collettività nazionale.

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Da  IL SOLE 24 ORE del 10 novembre 2011 -  FINANZA E MERCATI  pag. 43

Ricavi dei nove mesi in crescita dell'8,5% – Profitti a 3,49 miliardi di euro

Enel conferma i target 2011 – Effetto Robin Tax sugli utili

Il board delibera nuove emissioni di bond per 5 miliardi

ROMA – Fronteggia la concorrenza in Italia e continua a progredire all'estero. Ma intanto patisce la nostra Robin Tax, archiviando i primi nove mesi con un utile ordinario in calo del 6,2% (a 3,234 miliardi di euro) rispetto allo stesso periodo 2010 nonostante un risultato netto di gruppo in crescita dell'1,2%, a 3,492 miliardi di euro. E si dilata anche il debito, vera bestia nera di Enel, il nostro ex monopolista elettrico: 47,767 miliardi di euro rispetto ai 44,924 di fine 2010. «Crescita momentanea» assicura però il gruppo confermando l'obiettivo di una contrazione a 44 miliardi a fine anno, quando chiuderà il bilancio con un utile netto ordinario comunque in discesa a 4,1 miliardi, in calo sia rispetto ai 4,4 miliardi del 2010 sia rispetto alle previsioni di piano (4,5 miliardi), come anticipa il direttore finanziario Luigi Ferraris, che stima l'impatto annuale della Robin Tax in «400 milioni, forse qualcosa meno» e insieme all'ad Fulvio Conti conferma comunque la politica sul dividendo per quest'anno, con un payout al 60% dell'utile ordinario netto.

Promesse che lo stato maggiore dell'Enel conta di mantenere grazie «ai programmi di efficienza, l'ottimizzazione degli investimenti e i miglioramenti dei flussi di cassa attesi nell'ultimo trimestre» rimarca Conti, nonostante la frenata dell'utile si sia intensificata proprio tra luglio e settembre, con una diminuzione nel periodo dell'8,2% a 940 milioni di euro.

Gli indicatori globali si mostrano a luci e ombre. In rialzo nei nove mesi i ricavi (+8,5% a 57,496 miliardi) ma è comunque modesto l'aumento del margine operativo lordo (Ebitda): 13.284 milioni di euro, 19 in più (0,1%) rispetto allo stesso periodo del 2010 solo grazie a «proventi da cessione di partecipazioni e rimisurazione a fair value, del miglioramento dei risultati delle Divisioni Mercato, Infrastrutture e Reti e Energie Rinnovabili». Il risultato operativo (Ebit) segna 9.014 milioni di euro, in aumento di 85 milioni di euro (+1,0%) rispetto allo stesso periodo del 2010.

Più elettricità venduta all'estero e meno in Italia, mentre frena momentaneamente il business del gas. L'energia elettrica globalmente venduta dalle società del Gruppo Enel ai clienti finali nei primi nove mesi del 2011 si attesta a 232,4 TWh, in aumento di 1,7 TWh (+0,7%) rispetto allo stesso periodo del 2010. Ciò grazie all'incremento delle quantità vendute all'estero (+9,3 TWh), in particolare per le attività svolte in America Latina (+4,2 TWh), in Francia (+3,9 TWh) e in Russia (+1,1 TWh), mentre si registra una diminuzione delle quantità vendute in Italia (-7,6 TWh).

Le vendite di gas ai clienti finali sono state invece pari a 5,9 miliardi di metri cubi, in calo di 0,4 miliardi di metri cubi (-6,3%) rispetto al corrispondente periodo del 2010. La produzione netta complessiva è pari a 219,5 TWh (+1,2% rispetto ai 216,9 TWh dei primi nove mesi 2010), di cui 60 TWh in Italia e 159,5 TWh all'estero.

Il cda di Enel ha intanto deliberato una nuova emissione entro il 31 dicembre 2012 di uno o più prestiti obbligazionari, per un importo complessivo massimo pari a 5 miliardi di euro, da collocare presso investitori istituzionali o al pubblico retail. Il consiglio ha contestualmente revocato l'analoga deliberazione del giugno scorso che aveva autorizzato emissioni fino a 5 miliardi entro il 2012 e che aveva portato a collocamenti per 1,75 miliardi a luglio e per 2,25 miliardi a ottobre.

F.Re.

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Da IL SOLE 24 ORE del 19 novembre 2011 – IN PRIMO PIANO  Pag. 8

La svolta italiana – GLI IMPEGNI SULL'ENERGIA

Incentivi per le nuove reti

L'energia tra le priorità del Governo, verso un viceministro ad hoc – NEL NUOVO GOVERNO – Allo Sviluppo economico in arrivo un supertecnico: tra i possibili nomi Ortis, Ranci, Fanelli Garribba. Forse lunedì il via

Federico Rendina

ROMA – Un viceministro dello Sviluppo dedicato all'Energia, che sarà nominato probabilmente lunedì prossimo. E, per avviare subito le grandi manovre, un ricco dossier ricavato dalle carte e dalle nutrite esperienze su cui Mario Monti può contare.

Energia, fronte caldissimo. Una delle priorità "top" che il nuovo governo deciderà sicuramente di affrontare. Con tecnici, anche qui, forti. Tant'è che per il nome del vice con mansioni energetiche circolano i nomi di Alessandro Ortis, l'apprezzato ex presidente dell'Authority di settore, ma anche quello del predecessore Pippo Ranci e degli ex commissari della stessa Authority: Tullio Fanelli, Sergio Garribba (già al ministero con un ruolo chiave nei rapporti internazionali), Fabio Pistella.

Riattivare gli investimenti nelle infrastrutture, fornire una "cornice" di obiettivi e facilitazioni per sanare i mali strutturali del nostro apparato energetico che ci regala (si fa per dire) tariffe elettriche più care del 25-30% rispetto all'Europa nonostante una sovrabbondante capacità teorica di generazione. Il tutto per costruire l'architrave di quel nuovo Piano Energetico Nazionale che manca da vent'anni e che il Governo Berlusconi aveva annunciato come "imminente" (l'ultima volta nel settembre scorso), ma di cui non si è vista traccia.

Il nucleare sarà messo realisticamente in moratoria lunga, complici l'ultimo referendum e evidenti ragioni di opportunità politica e sociale. Ma Monti e il ministro dell'Ambiente Corrado Clini (che per aver azzardato una prudentissima apertura all'eventuale nucleare del futuro si è dovuto sorbire una raffica di richiami persino dal pur collaborativo Pd) insisteranno comunque per riattivare al meglio la partecipazione italiana ai programmi di ricerca internazionale, anche sull'onda dell'attività delle nostre imprese, Enel in testa, sull'atomo elettrico nucleare all'estero.

Reti energetiche più forti e moderne, intanto. Bisogna affrontare gli stranoti problemi di "amalgama" delle crescenti energie rinnovabili con il sistema elettrico (discontinuità della produzione e complessità degli scambi di una generazione frammentata). E qui occorre risolvere innanzitutto un problema: dare respiro agli investimenti nella modernizzazione delle reti, oppressi dalle complessità autorizzative, a cui si somma una crescente pressione fiscale che ha avuto il suo culmine con l'inasprimento della Robin Tax.

Un problema per i produttori e per i gestori delle reti di distribuzione. Un enorme problema per Terna, il titolare della rete di trasmissione nazionale ad alta tensione, che minaccia di frenare addirittura le opere già in corso. Che fare?

La pressione fiscale che potrebbe essere mitigata da qualche intervento ad hoc dedicato a selezionati settori, tra cui quello dell'energia. All'orizzonte ci sarebbe, tra l'altro, il credito di imposta condizionato a un piano concordato di opere infrastrutturali "di pubblica utilità". Nelle reti, ma anche nell'approvvigionamento del gas metano, la fonte praticamente egemone nell'energia italiana: nella generazione elettrica, in gran parte dell'attività industriale, nei riscaldamenti.

Per dare corpo e sostanza alla priorità-energia il Governo Monti potrebbe muoversi in una direzione non lontana da quella suggerita da molte delle menti migliori. Ad esempio dal nuovo guru della geopolitica planetaria Parag Khanna, trentaquattrenne americano di origine indiana consulente di Obama, appena invitato ad esporre il suo pensiero qui in Italia dai capi dell'Enel.

Differenziare le fonti e gli approvvigionamenti, estorta anche Khanna. Che intanto ci consiglia di fare pace con i nostri due macigni energetici: l'assenza del nucleare e la straripante dipendenza dal gas. Per trasformarli («potete farlo») da punti di debolezza in punti di vantaggio. Nel nucleare dobbiamo ammettere quello che comunque siamo: un paese nuclearista. Perché importiamo quote significative di elettricità nucleare dalla dirimpettaia Francia, salvo poi vendere alla stessa Francia elettricità da turbogas nei momenti della loro richiesta di punta. A riprova che andiamo davvero verso un mercato continentale interconnesso e pluridirezionale. «Si può essere nuclearisti anche senza avere centrali nucleari. Favorite l'integrazione dei mercati. Potenziate gli scambi. Converrà a tutti».

Ma il versante più ghiotto è quello del metano. «Via – esorta Khanna – alla trasformazione dell'Italia in un ponte continentale verso un nuovo sfruttamento del gas in Africa ma non solo. Senza avere paura di creare tanti, apparentemente troppi, gasdotti. O, ancora meglio, tanti rigassificatori. Rafforzando nel frattempo tutte le linee di interconnessione via tubo con l'Europa oltre che con l'oriente. Italia del gas, magari insieme alla Spagna, con una strategia concordata. A vantaggio nostro e di tutta Europa».

L'idea dello stivale "hub" del gas (cara, ad esempio, ad Alessandro Ortis) ben si concilia con i proclami riproposti in questi giorni dal ministro supertecnico dell'ambiente, Corrado Clini: Italia dell'Energia da proiettare nel Mediterraneo, nel gas ma anche e forse soprattutto nelle energie rinnovabili che nella fascia Nord del continente africano possono avere uno sviluppo impensabile, partendo dal progetto solare Desertech al quale noi italiani abbiamo creduto, finora, troppo poco.

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