Il nucleare del futuro? Una macchina da corsa, da guidare con perizia

Timore dell’atomo? Sbagliato. Perche il nucleare di oggi è collaudato e affidabile. Un ostacolo allo sviluppo delle fonti rinnovabili? Sbagliato. Perché solo un’alleanza tra nucleare e fonti rinnovabili metterà al sicuro il nostro futuro. Ed ecco a voi (ma da traguardare per i prossimi decenni) le centrali nucleari di quarta  generazione. “Intrinsecamente sicure”. Davvero? Mica tanto. Belle macchine, ma da maneggiare con grande cura. Non produrranno scorie, è vero. Ma “sappiamo fin d’ora che il loro controllo sarà più complicato”. Ce lo dice un nuclearista convinto. Di più: uno dei principali manovratori  del piano italiano per il ritorno alle centrali atomiche: l’ingegnere (nucleare, appunto) Giovanni Lelli, commissario straordinario dell’Enea. In un intervista pubblicata sullo speciale energia del Sole 24 Ore  dell’8 marzo Lelli ci spiega perché l’energia atomica è irrinunciabile, essenziale, amica, sposa ideale delle fonti rinnovabili. Ecco qui  la versione estesa dell’intervista.

Bando alle illusioni: solo una grande alleanza tra il nucleare e le rinnovabili ci garantirà un buon futuro energetico. Quale nucleare? Inevitabilmente quello di oggi. Non la chimera della quarta generazione, lontana almeno 30 o 40 anni. Non il sogno futuribile della fusione, dall’orizzonte indefinito. Ce lo dice l’Enea, protagonista storico della nostra ricerca sull’atomo, poi chiamato ad abbracciare anche le altre energie alternative, ora proiettato su una frontiera non meno ricca di tecnologie e di risultati pratici: l’efficienza, la massima efficienza, nell’uso delle risorse energetiche.

Tutto bene? Mica tanto. Giovanni Lelli, 65 anni, ingegnere nucleare, è commissario straordinario dell’Enea dal settembre del 2009 dopo averci lavorato una vita. Nel settembre scorso il suo mandato "straordinario" è stato prorogato di un altro anno, nell’attesa che il Governo ridefinisca il ruolo, la struttura e perfino le sedi operative dell’ente. In armonia con un nuovo piano energetico nazionale, che però tarda.

Ecco intanto la sfida per il ritorno dell’Italia all’atomo. Lanciata dal Governo, accolta con volenteroso entusiasmo dal sistema delle imprese, frenata non solo dalla diffidenza della gente ma anche, inutile nasconderlo, dai soliti ritardi della macchina politico-organizzativa italiana.

L’Enea fa quel che può. Non poco, considerando il problema principe che deve affrontare tutti i giorni: in attesa della grande riforma aumentano i costi, diminuiscono i finanziamenti dello Stato: -20% con l’ultima legge di stabilità. E così il suo bilancio, negli ultimi anni in faticoso equilibrio, torna pericolosamente in rosso.

Intanto dovete prendere 50 dei vostri uomini migliori, 50 scienziati del nucleare, e conferirli – ve lo impone la legge 99 sul ritorno all'atomo – alla nascente agenzia per la sicurezza, che dovrete affiancare e aiutare. Più compiti, meno mezzi, meno uomini.

Ve la caverete?

Ce la caveremo. Anche perché, riforma o non riforma, sappiamo quel che dobbiamo fare. Ce l’hanno detto Governo e Parlamento con l’articolo 37 della legge 99, che ci affida il ruolo di agenzia per le diverse forme di energia, nucleare incluso, nell’ottica dell’energia sostenibile. Certo, siamo un’agenzia un po’ particolare. Importante come ruolo, importante come dimensioni. Tremila persone chiamate a sviluppare conoscenza delle tecnologie dell’energia, al servizio delle amministrazioni centrali e periferiche, degli imprenditori, dei singoli cittadini, e ora della nuova agenzia per la sicurezza. Ma il nostro futuro ce lo siamo già costruendo, lavorando sodo. A maggio 2010 avevamo già ottenuto dall’Unione europea un volume di progetti equivalente a quello dell'intero 2009.

A frenare ci pensa proprio il grande piano per il ritorno all’energia nucleare: lente le regole, incerti gli appuntamenti.

All’Enea la macchina marcia a pieno vapore. Le aziende interessate alla sfida stanno già venendo da noi per preparare il lavoro di validazione degli apparati e delle procedure. E per la formazione dei tecnici e degli ingegneri abbiamo già messo tutti attorno a un tavolo, insieme al ministero della ricerca. Certo, lo scenario è avaro. Le nostre università sfornano non più di 80 ingegneri nucleari l’anno. Bisogna tornare ai 300 dei tempi migliori. Ma anche qui possiamo fare la nostra parte, in sinergia con la nuova Agenzia per la sicurezza.

Con il rischio di duplicare ruoli e competenze.

Non dovrà essere così. Non sarà così. Il nostro ruolo nei confronti dell’agenzia è chiarissimo. Accadrà quel che accade nei paesi più avanzati, in Francia ad esempio. Saremo il technical support operator di un’agenzia che deve essere necessariamente piccola, snella, super qualificata.

Con 50 dei vostri migliori tecnici. Uno svuotamento, sostiene qualcuno.

Un momento. Le 50 persone di cui dobbiamo privarci (altre 50 dovranno essere cedute all’Agenzia dall’Ispra, n.d.r.) non potranno certo essere tutti ingegneri. Tra loro potrà e dovrà esserci anche qualche amministrativo e qualche lavoratore di supporto, l’operazione non potrà essere fatta istantaneamente. Il conferimento sarà progressivo, nel tempo.

Anche perché nella ricerca nucleare dovete pedalare. Nel laboratori della Casaccia avete riportato a pieno regime i due reattorini sperimentali Triga e Tapiro. Guardate al futuro, anche se con qualche interrogativo un po’ inquietante. In un articolo sulla vostra rivista interna lei sottolinea non solo i tempi lunghi della quarta generazione, ma anche i possibili problemi di sicurezza che ne potrebbero derivare. Conferma?

Confermo. Perché se i reattori di terza generazione sono un’evoluzione dei reattori degli anni 70 e 80 di reattori di quarta generazione saranno completamente diversi. Bisognerà svilupparli, poi superare la fase prototipale, poi dimostrarne la fattibilità industriale ed economica. Ma sappiamo fin d’ora che saranno caratterizzati da una dinamica fisica intrinseca che ne renderà più complicato il controllo.

Perché? Cosa cambia. Possiamo spiegarlo anche chi non è uno scienziato?

I reattori di terza generazione si chiamano anche reattori lenti, quelli di quarta generazione si chiamano reattori veloci, in relazione alla maggiore o minore velocità dei fenomeni fisici che ne consentono il funzionamento. È un po’ come paragonare una motocicletta da passeggio a una motocicletta da corsa. Le prestazioni sono diverse, l’impegno per guidare è tutt’altro. C’è un problema, appunto, di controllo. Dovremo risolverlo.

Proviamo allora stimare i tempi, per la quarta generazione e poi per la fusione.

Per la fusione è presto persino per tracciare un orizzonte. E anche per la quarta generazione i tempi non sono brevi: non la vedremo né io né lei. Tant’è che ci si occupa della ricerca solo a livello comunitario. L’interesse specifico di un singolo paese ancora non esiste. Nella migliore delle ipotesi i primi dispositivi operativi arriveranno non prima di 30 o 40 anni.

Bella sfida. Intanto il dna dell'Enea si è modificato, diventando un po' meno settoriale. Da puramente nucleare si è trasformato in un veicolo di scienze e innovazione per le energie rinnovabili, per l'efficienza, per l'economia verde. Con il plauso di chi sottolinea le crescenti sinergie tra i nucleare le fonti rinnovabili. È davvero così?

È così per chiunque abbia una buona conoscenza dell’energia e un normale buonsenso. È così, ad esempio, per i francesi, che sono nuclearisti più di chiunque: il loro ente nucleare, il Cea, è stato trasformato in una struttura che si occupa in maniera massiccia anche delle energie rinnovabili.

Sulle sinergie operative tra nucleare e rinnovabili si fanno esempi suggestivi. Si dice che per risolvere in un sol colpo il problema di dover mantenere a pieno regime le centrali atomiche 24 ore al giorno si potrebbe produrre idrogeno, da utilizzare poi come vettore energetico pulito, quando la richiesta elettrica diminuisce. Che ne pensa?

È una delle tante, ottime, applicazioni possibili. Vedo molte continuità tecnologiche tra nucleare e rinnovabili, ma vedo soprattutto delle fortissime contiguità economiche. L’energia elettrica il vettore energetico più bello, più buono, più pulito. Dobbiamo tener conto di come sta cambiando il mondo. Della crescente necessità di acqua potabile, ad esempio. Della necessità di calore a bassa temperatura. Tant’è che anche i paesi arabi si stanno rivolgendo al nucleare, non solo come mezzo per svilupparsi tecnologicamente affrancandosi dalla loro monodipendenza dal petrolio, ma anche perché hanno oggettivi problemi di approvvigionamento di acqua e di climatizzazione. Per noi il problema, e allo stesso tempo un’opportunità, è diverso. Possiamo e dobbiamo usare il nucleare come produzione continua, e le rinnovabili come accumulo di energia, e non solo con la classica applicazione dei pompaggi nei bacini idroelettrici.

L'idrogeno?

Nei paesi economia matura lo vedo molto bene per la mobilità, in progressiva sostituzione dei combustibili fossili. Idrogeno fatto con il nucleare? Certamente. Idrogeno per la mobilità da noi, dissalazione dell’acqua e climatizzazione nei paesi arabi. Certo, scenari di questo genere, da noi come laggiù, hanno bisogno di una programmazione politica, economica e industriale a lungo termine. Costante nel tempo, affidabile, da legislatura a legislatura. Il problema, quello vero, potrebbe essere proprio questo.

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1 comment on “Il nucleare del futuro? Una macchina da corsa, da guidare con perizia

  1. mascali

    Il nucleare anche se potrà diventare più sicuro, avrà sempre il problema delle scorie (anche se cercano di raccontarci la favola che le nuove centrali non ne produrranno più, nessuno è in grado di garantirlo)
    L’alternativa è solo ed esclusivamente l’energia pulita. Punto.

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