Nucleare, fiasco in salsa francese

Più che la paura delle radiazioni poterono i costi esorbitanti, i macigni finanziari e, soprattutto, le difficoltà tecniche. La nuova energia nucleare è densa di promesse ma intanto rischia di mettere a terra il paese più nucleare del mondo: la Francia. E sì che con la loro tecnologia “di terza generazione mezzo” EPR (European Pressurizzed Reactor) i cugini d’oltralpe promettevano di esibire il primo esempio di sicurezza intrinseca dell’atomo elettrico, una vantaggiosa sintesi tra i costi benefici e un ponte verso il prossimo salto generazionale delle centrali atomiche a fusione. Invece niente: i quattro reattori pionieri, quello nazionale di Flamanville insieme al gemello finlandese di Okiluoto e ai due già cantierati in Cina, accumulano crescenti ritardi e micidiali aumenti dei costi. Ora la parola fine potrebbe venire poco al di là della Manica.
Occhi puntati su Hinkley Point C, nel Somerset, nell’Inghilterra del sud. Proprio lì dovrebbero essere piazzati due reattori EPR da 1,6 GW ciascuno. Costo preventivato: 22,6 miliardi di euro. Obiettivo: il più grande impianto nucleare della nuova stagione atomica occidentale. Con una tabella di marcia che fino a qualche mese fa veniva esibita con granitica sicurezza: avvio dei lavori nel 2019, via alle macchine nel 2025. La realtà, ora evidente, è ben diversa.
Gli impianti pionieri in Europa e in Cina arrancano. La tecnologia mostra falle crescenti. I parametri finanziari non tornano più. Al punto che secondo i migliori analisti – come riporta tra gli altri il portale italiano Qualenergia, che fa il capo al Kyoto Club – la caparbia volontà di proseguire nell’operazione in Inghilterra rischia persino di destabilizzare le finanze già traballanti di Edf, il gigante elettrico francese che si è impegnato a finanziare due terzi dell’operazione britannica, mentre il resto dovrebbe essere coperto dall’operatore pubblico cinese CGNPC (China General Nuclear Power Corporation).
Certo, il debito globale di Edf, stimato in circa 37 miliardi di euro, non è molto diverso da quello della nostra Enel. Ma se il nostro operatore è impegnato in una drastica operazione di razionalizzazione delle sue strutture anche per finanziare la sua nuova missione verso l’energia verde, l’azienda francese ha scadenze ben più pressanti e comunque obbligate: per dismettere e rinnovare la gigantesca flotta di reattori nucleari dei cugini d’oltralpe dovrà spendere – osservano gli analisti di Qualenergia – la bellezza di 50 miliardi di euro da qui al 2025. Vero è che il governo francese si dice pronto ad intervenire sia a copertura dei rinnovi tecnologici in patria che per le operazioni Epr all’estero, tenendo conto del loro valore non solo strategico ma addirittura esistenziale per il futuro dell’industria nazionale del settore. Ma i dubbi si insinuano persino tra gli osservatori francesi. Per non parlare di quelli, crescenti, che serpeggiano anche tra gli inglesi sull’opportunità di mandare avanti l’operazione a casa loro.
I dubbi investono di pari passo sia la validità tecnologica delle centrali EPR, visto che gli impianti sperimentali in costruzione continuano a essere martoriati da ogni genere di difficoltà, sia l’effettiva convenienza globale dell’operazione non solo riguardo ai costi ma anche, e forse soprattutto, dei prezzi finali a carico dei consumatori di energia. Va detto che l’Inghilterra è stata curiosamente preveggente rispetto a questi problemi. Fino a mettere in atto, già nelle fasi propedeutiche, una scelta davvero controversa. Il governo inglese aveva infatti pre-concordato con gli artefici della doppia centrale Epr di Hinkley Point un prezzo decisamente gonfiato per il ritiro dell’elettricità generata nei primi 35 anni di funzionamento dell’impianto, per il quale è stimata una vita utile di sessant’anni: 92,5 sterline a megawattora, più del doppio del prezzo medio all’ingrosso dell’energia elettrica in Inghilterra. Un onere supplementare che verrà ribaltato sulla generalità dei consumatori di energia inglesi. Il bello, si fa per dire, e che tale garanzia potrebbe rivelarsi addirittura insufficiente. Conviene bloccare tutto? Conviene azzerare l’operazione? In ballo ci sono valutazioni energetiche, industriali, finanziarie. E politiche.

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