Il ribelle giapponese e l’apocalisse nucleare

Giapponesi fedeli e ubbidienti, a costo di eseguire ordini palesemente ottusi? Stereotipo assai diffuso. Guai a crederci ciecamente. Si sappia – se è vero quel che ci racconta questa mattina il New York Times – che la ribellione a un ordine drammaticamente sbagliato ha salvato il Giappone e forse mezzo mondo. Perché se un anno fa si fossero eseguiti gli ordini ufficiali il guasto alla centrale nucleare di Fukushima poteva creare un'apocalisse nucleare, non solo giapponese.

Accadde che l’11 marzo 2011, a incidente appena avvenuto, il governo di Tokio valutò il rischio di un'esplosione ancora più catastrofica, con una reazione a catena che avrebbe coinvolto altri impianti nucleari propagando la catastrofe anche nella zona di Tokyo, piazzata a poco più di 200 chilometri. Tant’è che il piano per evacuare la capitale era pronto, rivela il New York Times. Un piano dettagliato, frutto di grande ma assai ottusa (buon per lo stereotipo giapponese) efficienza. Perché lo scenario dell’apocalisse era stato minuziosamente disegnato valutando le conseguenze che avrebbero avuto i primi ordini ufficiali impartiti dai dirigenti della compagnia energetica Tepco al direttore dell'impianto di Fukushima, Masao Yoshida: divieto di usare l'acqua di mare per tentare di raffreddare il reattore 4 (il più danneggiato) e immediata evacuazione della centrale.

Sempre a quanto riferisce il New York Times il capo del governo giapponese Naoto Kan fu immediatamente informato. Ne rimase terrorizzato. Si affidò alle valutazioni dei tecnici che aveva intorno, evidentemente proni alle deliberazioni della compagnia energetica Tepco. La cosa rimase tra loro. Gli organismi internazionali sulla sicurezza nucleare non furono informati. Nel frattempo niente acqua di mare per raffreddare, e tutti via da Fukushima. Il direttore della centrale non ubbidì. Sapeva bene che i reattori (non solo il numero 4) sarebbero esplosi. Sapeva che la reazione a catena sarebbe stata inevitabile. Il direttore fece di testa sua. Il reattore quattro fu innaffiato dai volontari che vollero rimanere. Molti morirono.

Il disastro ci fu, ma fu evitata quella immediata reazione a catena che non avrebbe solo distrutto una parte consistente del Giappone. Apocalisse nucleare, apocalisse sanitaria, poi economica. Dunque il rischio, concreto, di sconquassi persino planetari: le borse, le economie.

Onore all'eroe giapponese. Al suo tormento della ragione.  Secondo il New York Times tutto diventerà ufficiale entro la fine della settimana, quando verranno pubblicati i risultati di un'indagine indipendente della "Rebuild Japan Initiative Foundation" che esibirà le prove documentali di tutto ciò.

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